La successione di eventi di quello che è stato definito “il più grande mistero criminale di tutti i tempi” iniziò il pomeriggio del 24 marzo 1953 in una scalcinata casetta nel quartiere londinese di Notting Hill. L’inquilino, un giamaicano di nome Beresford Brown, voleva risistemare la cucina al pianterreno e cercava un posto dove sistemare uno scaffale. Quando picchiò con le nocche il muro d’angolo, si accorse che suonava vuoto e che si trattava in realtà di un ripostiglio ricoperto di carta da parati; ne strappò via una striscia scoprendo un buco nella porta attraverso cui poté dare un’occhiata al lume di una torcia. Quello che vide era indubbiamente la schiena di una donna nuda, che pareva piegata in avanti con la testa tra le ginocchia, come se si sentisse male. Questo spiegava l’odore nauseabondo che invadeva la cucina, non dissimile a quello di un topo morto.
La polizia arrivò nel giro di pochi minuti; parimenti il patologo Dott. Francis Camps. La porta del ripostiglio fu aperta e si vide che la donna seduta era sostenuta da un lembo di coperta annodato al reggipetto. L’altra estremità della coperta ricopriva una sagoma appoggiata al muro, che si rivelò un altro corpo.
E più in là, in fondo al ripostiglio – che era in realtà una carbonaia – un’altra sagoma sembrava malauguratamente un terzo corpo, in posizione eretta.
Il primo cadavere era quello di una giovane donna: un segno intorno al collo indicava che era stata strangolata; della muffa le colava dal naso. L’esame medico mostrò che era morta da circa un mese e che era stata violentata ripetutamente. Anche il secondo cadavere, vestito solo di un cardigan ed una maglietta, era di una giovane donna: anch’essa uccisa e violentata. Il corpo era stato messo nella carbonaia a testa in giù e l’esame medico rivelò che si trovava lì da circa due mesi. Il terzo corpo era di una giovane donna, a testa in giù ed avvolto in una coperta. La donna risultò essere in avanzato stato di gravidanza.
Questi non furono i soli resti che vennero trovati al n. 10 di Rillington Place. Sotto le assi del pavimento della sala che dava sulla strada, fu rinvenuto un altro cadavere nudo, avvolto in una coperta. Perlustrando il giardino, si scoprì che un paletto di sostegno a uno steccato era un femore umano, e gli scavi nel terreno portarono alla luce ossa di almeno altri due corpi, sempre femminili.
Identificare l’assassino non fu un problema: Era John Reginald Halliday Christie, che era vissuto nell’appartamento al pianterreno negli ultimi quindici anni. Il corpo trovato sotto le assi del pavimento era quello di sua moglie, la cinquantatreenne Ethel.
Il 31 Marzo 1953, dopo una settimana di ricerche, un poliziotto riconobbe Christie intento a fissare, immobile, l’acqua del Tamigi dall’alto del Putney Bridge. Si fece condurre alla centrale di polizia senza opporre resistenza.
Il ritrovamento dei corpi portò alla mente un’altra tragedia avvenuta nella stessa casa quattro anni prima. Il 2 Dicembre 1949, la polizia aveva rinvenuto i cadaveri della ventitreenne Beryl Evans e della figlia di un anno, Geraldine, nella lavanderia fuori dalla porta di servizio. Di entrambi i delitti era stato incolpato il marito Timothy Evans, un operaio analfabeta che per questo fu impiccato. Ora, tutti si chiesero: non sarà stato invece Christie l’assassino di Beryl e Geraldine Evans?
Lo stesso Christie rispose in parte a questo interrogativo, quando poche settimane dopo ammise di aver strangolato Beryl Evans con una calza, affermando che lei stessa gli avesse chiesto di farlo.
Della piccola Geraldine, invece, non volle mai dire nulla.